Vini Parusso, da contadini a vignaioli, nel segno della famiglia e delle Langhe
Vini Parusso, da contadini a vignaioli, nel segno della famiglia e delle Langhe
a cura di Nadia Taglialatela
9 Novembre 2022
Accogliamo l’ingresso in Lavinium di Nadia Taglialatela, giornalista ischitana, della quale potete leggere tutto qui. Questo suo primo articolo è dedicato a un’importante azienda di Langa, Parusso, con la degustazione di quattro vini rappresentativi.
Buona lettura!
Alla Bussia, i Parusso producono vini che ripescano tecniche ancestrali, ma agganciano codici contemporanei: la chiave per durare a lungo in un settore mutevole per antonomasia.
Abbiamo degustato l’annata 2018 ed i suoi cru, nell’ambito di un racconto che dura da cinque generazioni.
Fu Gaspare Parusso ad acquistare il primo vigneto nelle Langhe, a Mariondino, ma bisognerà aspettare il 1971 per la prima vinificazione. Sarà, infatti, Armando Parusso a imbottigliare e sigillare i vini di famiglia con la prima etichetta dedicata. Abbiamo incontrato Marco Parusso a Napoli, nell’enoteca Gran Gusto, ospiti di un simposium di addetti ai lavori, aperto al confronto così come alla conoscenza di un grande vino. In questo caso, del signor Barolo. Marco Parusso è la quarta generazione, insieme a sua sorella Tiziana. Arriva in azienda verso la fine degli anni ‘80, subito dopo gli studi di enologia ad Alba. Dall’acquisto del primo vigneto, ne è passato di vino da quelle parti. Acquisizioni di terreni e cascine e poi l’arrivo della quinta generazione: Giulia e Francesco, figli rispettivamente di Tiziana e Marco.
Recentemente i Parusso hanno festeggiato i primi 50 anni di un’attività che significa, soprattutto, terroir: ovvero, colui che tutto determina a livello di clima e suolo, a braccetto con la sapiente mano dell’uomo.
Il vino lo fa l’uomo, ma la natura deve essere d’accordo.
Terroir e vini
Dunque, Langhe, nel cuore del Barolo. Territorio famoso per le due tipologie di terreno che condizionano inevitabilmente la produzione vinicola: il Tortoniano, tipico di La Morra, e l’Elveziano, tipico di Serralunga d’Alba. Suolo ricco di calcare, argilla, marna, arenaria e sabbia, eccola la carta d’identità del territorio. Non a caso, plus dell’azienda Parusso sono le MGA, ovvero le menzioni geografiche aggiuntive, relativamente ai tre cru:
Barolo Perarmando 2018 – dedicato al padre Armando in occasione dei 50 anni di produzione vinicola. Si tratta di un assemblaggio delle uve provenienti da tutte le vigne Parusso, dunque Bussia (al 50%), Mariondino, infine vigna Mosconi. Verrebbe da definirlo un vino supponente, anche se in primis consegna toni balsamici e poi note di rosa, ciliegia, c’è anche della liquirizia sul finale. Il sorso restituisce tutto l’afflato del nebbiolo, così carico di tannini e, ugualmente di agilità.
Barolo Mariondino 2018 Acquistata da papà Armando Parusso, si tratta della vigna più vecchia di casa. Personalità da vendere, si tratta del cru vendemmiato per ultimo, in un terreno sabbioso, ricco di fossili. Anima doppia, burbera e incantatrice. Si sente molto la rosa, speziatura di pepe nero e poi piccoli frutti scuri come i mirtilli. Il sorso invita ad essere ripetuto più volte, intrigante nel suo costante divenire.
Barolo Mosconi 2018 In questo caso, la vigna è a 400 m. di altitudine, zona calda, con argilla e calcare per quanto riguarda il suolo. È il primo cru ad essere vendemmiato e sprigiona profumi concentrati e intensi. Ricordano la terra, il carrubo, la prugna. Nonostante il tannino protagonista, è un vino che sa come avvolgere, probabilmente restituendo quello che ci si aspetta da un classico Barolo, dunque verticalità e sorso che indovina profondità.
Barolo Bussia 2018 Figlio di un terreno arenario, marnoso e limoso, considerando l’intera area del Barolo, si distingue per eleganza. Nello specifico, si tratta di due vigne e cinque ettari totali. C’è Vigna Rocche con il suo terreno sottile, esposto al sole del mattino. E poi c’è Vigna Munie, con una maggiore esposizione solare. Vino, questo, di carattere, che prima ti stuzzica con la rosa, poi ti invade di terra, eucalipto e tutto il calore del tabacco. Un vino con i muscoli, ma che sa far vibrare l’anima.
Nel vangelo secondo Parusso, tutto si muove nel rispetto del territorio e della natura, azioni quotidiane che soddisfano e ridimensionano lo stato di salute di ogni singola pianta. Esempio: in cantina si pratica il riposo delle uve, tecnica, questa, già appartenuta agli Antichi Romani. Una sorta di Spa defaticante, dopo lo “stress” che la vendemmia provoca al frutto. Dopo il riposo, la buccia si rilassa, l’acqua di vegetazione evapora lasciando spazio all’ossigeno. Fondamentale per far poi partire la fermentazione naturale, così come per attivare un tannino destinato ad essere maturo, elegante e ricco di antiossidanti: la garanzia di longevità del vino. Ascoltare la passione di Marco Parusso – al nostro tavolo conviviale – risulta coinvolgente, disposto a prendersi le conseguenze anche delle sue uscite più tranchant. Alla fine dei conti, ha ragione lui. Quante volte potremmo giurare sul vino che versiamo distrattamente nel calice? Etichetta blasonata, prezzo elevato, il consenso della stampa che conta. Ma è davvero abbastanza? Da parte nostra, troviamo che, ove possibile, il contatto diretto e ravvicinato con il produttore valga più di molti assaggi. Si tratta di ascoltare la poesia che li precede. Gli assaggi, ex post, avranno inevitabilmente un altro valore.
Metodo In azienda, i Parusso hanno selezionato due tonnellerie francesi, legni di qualità, stagionati all’aria. Barrique dalla tostatura media, in costante dialogo con l’ossigeno. Tassello, quest’ultimo, fondamentale per Marco Parusso nell’ambito di una produzione vinicola di successo. Favorirlo, controllarlo, tutto ruota intorno all’ossigeno. Un chiodo fisso. Dai racconti di Marco Parusso è emerso il suo costante tentativo di “abituare” il vino all’ossigeno, per evitare l’impatto talvolta devastante dell’ultimo capitolo che si scrive in bottiglia.
L’azienda Parusso lavora su 28 ettari di proprietà, per un massimo di 150.000 bottiglie l’anno, con una produzione incentrata su Dolcetto, Barbera e Nebbiolo, tutti vitigni autoctoni. Dal Nebbiolo, in particolare, nascono i vini Langhe Nebbiolo, Barolo classico e i tre Cru che incorniciano lo “stile Parusso”: sono le etichette Bussia, Mosconi e Mariondino. In più, Dolcetto d’Alba Piani Noce, Barbera d’Alba Ornati e la nuova sfida aziendale: un vino spumante Metodo Classico da uve Nebbiolo, proposto in due versioni: Extra Brut ed Extra Brut “100 mesi”. Per la precisione, l’unico vitigno non autoctono coltivato in azienda è il Sauvignon Blanc e viene utilizzato per Langhe Bianco e Langhe Rovella. Oggi il Barolo fa indubbiamente parte del racconto dell’Italia nel mondo, eppure, soltanto nei recenti anni ‘90 c’è stata la vera consacrazione. Del resto, così va la vita. Niente di importante e prezioso potrà mai essere facile da ottenere. È la dura lex che vale anche per un vino nobile, un’eccellenza che racconta il made in Italy all’estero: uno come il Barolo.
GRAZIE!